Vent'anni di Vogue 1964 - 1994
Vent’anni di Vogue 1964 – 1994
Milano – Sono i fotografi a inventare le donne, le donne immaginarie, stentoree, astrali, che poi si impongono come vere, e quelle vere finiscono col sentirsi finte, perché non sono fotografie, e senza l’ obiettivo si percepiscono massicce e imperfette, esteticamente niente, quindi femminilmente niente. Il mondo della moda sarebbe piccolo e elitario, sconosciuto ai più, ma nell’ intreccio con la pubblicità e i giornali, diventa un’ immagine universale, colora il quotidiano, crea un nuovo divismo e quindi una folla di fans. Lo si capisce benissimo visitando la mostra “Vogue/1964-1994” alla Triennale, dedicata ai trent’ anni del mensile italiano che più ha influenzato non tanto il gusto del vestire quanto quello dell’ immagine. Narcisismi estremi e infatti non è la moda la protagonista della mostra, non sono i vestiti né gli stilisti, e forse neppure le modelle; ma i fotografi, le star più temute, idolatrate, pagate, crudeli e imperiose di un sistema creativo e mercantile.
La mostra ci racconta piuttosto i narcisismi spesso estremi dei fotografi, fabbricanti e distruttori della faccia e del corpo della donne, abituati a lavorare solo con creature magiche, che restano tali per pochi anni, e non perché poi invecchiano, ma perché non sanno più ispirare i loro padroni, i fotografi, che le “dismettono” come oggetti fuori uso, o ancor peggio, fuori moda.
Ci sarà il severo e diabolico Helmut Newton, e Bruce Weber autore tra l’ altro di un bellissimo documentario su Chet Backer, gli italiani Giampaolo Barbieri e Elisabetta Catalano e tra le star più recenti Steven Meisel, che lavora in esclusiva per Vogue Italia ed è considerato, dalle modelle che sceglie, addirittura un benefattore, un Dio.